Un incubo iniziato nove anni fa, nato da un terribile errore medico. Paola Rametta, 61enne avolese, ha convissuto con la consapevolezza di essere malata oncologica per oltre sei anni, salvo poi scoprire che in realtà la diagnosi era sbagliata sin dall’inizio. Tutto inizia nel 2015 quando la signora si reca al pronto soccorso dell’ospedale Di Maria perchè respira con affanno. All’inizio le viene diagnosticata un’ allergia. La signora, però, non migliora. Rametta, così, viene sottoposta a una tac dalla quale si evince una macchia al polmone; è l’inizio del calvario. I medici, infatti, sospettano un tumore e la donna viene ricoverata a Siracusa. Ancora prima che venga effettuato un esame istologico, inizia il primo ciclo di chemioterapia.
“Per sei anni e mezzo mi sono sottoposta alle cure che mi venivano consigliate, con cicli di chemio e radioterapia – ha raccontato la donna al quotidiano “La Sicilia” – ogni anno, a distanza di sei mesi l’uno dall’altro, facevo anche le tac. La macchia non progrediva né diminuiva. A un certo punto confesso di essermi sentita quasi miracolata perché con una diagnosi di tumore ai polmoni la speranza di vita è breve, invece io ero ancora viva dopo sei anni e mezzo”.
Nel 2021, dopo sei anni, il “presunto” tumore è ancora fermo, ma la qualità della vita di Rametta è precipitata. La chemioterapia, infatti, distrugge le cellule tumorali (che nel caso della signora non c’erano affatto) ma ha conseguenze anche su alcuni tipi di cellule sane soggette a rapida replicazione provocando effetti collaterali: perdita di capelli, anemia e calo delle difese immunitarie, dolori alle articolazioni.
Dopo ulteriori esami Rametta si sottopone all’ago aspirato. A un certo punto, sempre nel 2021, un medico del reparto oncologico del nosocomio avolese, dopo un esame pet e l’ago aspirato, si rende conto di quanto è accaduto e sospende tutte le cure. “Ho iniziato allora a girare per diversi ospedali, da Palermo a Ragusa a Vittoria – prosegue Rametta – faccio ancora una volta la tac e finalmente un medico a Catania mi dà la diagnosi corretta. Avevo due noduli, probabilmente congeniti, vicino ai bronchi. Nessuno dei due era un tumore. La famosa macchia che avevano visto nel 2015 era dovuta a una disfunzione della giugulare che mi aveva causato una trombosi”.
Ciò, in realtà, non porta un giovamento perchè l’interruzione repentina della somministrazione delle terapie ha provocato ulteriori disagi fisici.
“Mi ha spiegato un altro medico che avrei dovuto sospendere piano piano la terapia, non di botto dalla sera alla mattina. Adesso ho una qualità della vita bassissima, sono piena di dolori alle articolazioni, ho perso i denti, fatico a camminare e nei fatti sono segregata a casa, poiché vivo in un palazzo senza ascensore – conclude Rametta – ma la cosa che mi provoca ancora più dolore è il trattamento che mi è stato riservato in ospedale, dopo 6 anni e mezzo. Ho trovato tutte le porte chiuse, tutti sanno e nessuno parla”.
Alla signora è stato impiantato negli anni scorsi, inoltre, un dispositivo infusionale per le terapie oncologiche che ora dovrebbe essere rimosso, ma a tutt’oggi nessun medico si è assunto la responsabilità della sua rimozione.
Rametta, difesa dall’avvocato Salvatore Raudino del Foro di Siracusa, ha presentato quest’anno una denuncia ai carabinieri e chiede giustizia per l’enorme danno subito.
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